Uno dei principali
problemi italiani di oggi, fra le molte cose, è il dissesto
idrogeologico. Quotidianamente se ne sente parlare su tutti gli
organi di informazione e, purtroppo, sempre quotidianamente si
assiste a nuovi casi di alluvioni, frane e allagamenti. La
popolazione colpita da queste tragedie naturali se la prende –
giustamente – con la classe politica, ritenuta incapace di
prevenire con efficacia i problemi derivanti dal maltempo.
Tuttavia è scorretto
attribuire per intero la responsabilità all'attuale classe
dirigente. Se è vero che comunque degli errori sono stati commessi
in tempi recenti, è anche vero che la causa principale del dissesto
idrogeologico affonda in tempi più lontani.

Com'è noto, in questi
anni si è verificato il più grande movimento migratorio interno
all'Italia: centinaia di migliaia di persone si trasferiscono in
massa dal meridione alle regioni del nord, alla ricerca di un lavoro.
Tra il 1955 e il 1970 in Lombardia si trasferiscono 938.100 persone,
in Piemonte 720.500 e in Liguria 226.300. Di questi, in particolare,
in 845.100 si stabiliscono a Milano, in 641.800 a Torino e 131.500 a
Genova. Le città industriali del nord, letteralmente, esplodono. Nel
giro di venti anni questi comuni si trovano a dover ospitare numeri
incredibili di persone, equivalenti alla popolazione di intere città.
Ad esempio, per quanto riguarda Genova, è come se alla città
pre-boom si annettesse
l'attuale popolazione che compone Rimini. Ovviamente gli
amministratori si sono fatti trovare impreparati: emblematico è il
caso di Roma, in cui i nuovi edifici sono stati costruiti
direttamente dagli stessi migranti senza fondarsi su alcun piano
regolatore. Anche dove questo processo di ampliamento cittadino è
avvenuto con più ordine, è pur sempre avvenuto senza criterio:
l'importante era costruire, senza curarsi di dove si va a
cementificare. Il caso di Genova è appunto eclatante: i palazzoni
sorti in questi anni sono sul fianco della montagna. Si consideri ad
esempio il “Biscione” nel quartiere Forte Quezzi, o anche il
quartiere Ca' Nuova, sulle alture di Pra'.
Se
oggi si parla di dissesto idrogeologico, la colpa è qui, nell'aver
costruito città dentro città senza alcun criterio urbanistico:
quella che si potrebbe definire una cementificazione selvaggia. Non
si può costruire in tutti i luoghi. Non si può pensare di eludere
la natura: essa è più forte di qualsiasi sforzo umano. Bisogna far
tramontare definitivamente l'idea per la quale si possa sottomettere
la natura. Bisogna invece imparare a rispettare la natura, nel senso
più originario ed autentico che la parola “rispetto” possiede
(“Sentimento
e atteggiamento di riguardo, di stima e di deferenza, devota e spesso
affettuosa”
- Vocabolario Treccani).
Chi
amministra oggi il territorio non può dribblare il problema ma deve affrontarlo di petto. Se da un
lato quello che già c'è non si può demolire, bisogna, in primo
luogo, impedire nuovi abusi edilizi e, in secondo luogo, monitorare
costantemente il territorio – in ogni condizione meteorologica –
al fine di prevenire disastri ulteriori.
Chiudo
con una provocazione: in ogni caso il modo migliore per prevenire
davvero il dissesto idrogeologico è distruggere e ricostruire
daccapo tutte le città italiane con un nuovi criteri urbanistici più
rispettosi della natura...
Michele Castelnovo
Resp. Cultura e Comunicazione
Giovani Democratici - Federazione provinciale di Lecco
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