“E’ terrorismo non c’è dubbio”.
Queste le parole con cui il Presidente della Repubblica Francese
Hollande ha commentato a caldo l’attentato terroristico avvenuto
ieri mattina a Parigi, che ha avuto come bersaglio il giornale
satirico Charlie Hebdo. 12 persone hanno perso la vita per mano dei
tre uomini che hanno assaltato la sede; 12 giornalisti, vignettisti,
poliziotti, uomini comuni la cui quotidianità è stata bruscamente
interrotta per finire nel sangue. Accanto al sangue c’è qualcosa
di più di cui è importante parlare, sebbene la ferita inferta alla
capitale francese bruci ancora, fresca e cruda. Accanto al sangue
aleggia la paura. Paura che nel caso del terrorismo si fa
definizione, obiettivo primario da diffondere velocemente in modo
virale come l’influenza, come una news scandalistica o un post su
facebook. Alle 16.30, quando la notizia si era ormai propagata, il
ministro degli interni italiano Angelino Alfano ha convocato il
Comitato di analisi strategica antiterrorismo per esaminare i rischi
concreti di minaccia terroristica per il nostro paese: la paura è
servita. Ma di cosa dobbiamo avere paura?
Sono passate poche ore e ancora non si
hanno certezze circa l’identikit degli attentatori, anche perché
nessuna organizzazione terroristica ha rivendicato l’azione. Pare
tuttavia che questa fosse premeditata e che sia stata condotta da
mano esperta ed addestrata, riconducibile ad una qualche frangia
jihadista. Non ci sarebbe da stupirsi, se
venisse confermato, che gli omicidi del Charlie Hebdo siano affiliati
ad Al-Quaida o allo Stato Islamico. Proprio quest ultimo aveva
inserito il giornale satirico nella lista degli obbiettivi che i
combattenti fondamentalisti presenti in Europa avrebbero dovuto
prendere di mira, per punire i raid aerei francesi in Siria ed Iraq.
Come si affronta dunque la paura di una
rinascita del terrorismo islamico di matrice fondamentalista
all’orizzonte a poche ore dal primo attentato europeo nell’era
dell’Isis? Il sentimento di autodifesa segue a quello del timore di
un attacco. E’ già diffusa opinione che se ci sarà qualcuno
pronto a cavalcare l’onda della tragedia, ad ergersi a difensore
della patria contro i suoi nemici naturali, questa sarà Marine Le
Pen. La leader del Front National, partito già in ascesa alle scorse
elezioni europee e portatore di istanze nazionaliste e xenofobe,
sembra la persona predestinata ad incanalare questi sentimenti, come
lo fu Bush nell’America post 11 settembre. Potrebbe sembrare dunque
che la reazione a catena sia quella che vede l’attentato come causa
e l’ascesa di partiti nazionalisti, xenofobi e anti immigrazione
come conseguenza degli eventi di ieri mattina. In realtà, sebbene la
successione temporale dei fatti presentata sia corretta, stiamo
dimenticando gli antefatti. Ieri il commento della Le Pen è stato il
seguente: "Bisogna dire basta
all'ipocrisia e chiamare le cose con il loro nome: è una strage
perpetrata dall'integralismo islamico". Si deve prendere spunto
da quanto ha detto la Le Pen: basta all’ipocrisia. La Francia per
ragioni storiche e coloniali è il paese europeo che ospita il
maggior numero di musulmani: quasi il 9% della popolazione. Dopo l’11
settembre l’immagine della cultura islamica sembra essere stata
irrimediabilmente compromessa, sino ad arrivare ad una demonizzazione
della categoria dei musulmani al completo, che forse persino loro
stessi hanno oggi introiettato. Non c’è da tanto stupirsi forse
allora se alcuni musulmani francesi, sempre più ghettizzati,
malvisti e poco rispettati anche nell’esercizio del loro culto si
siano rifugiati nelle frange estremiste e fondamentaliste della
propria religione. Ed è proprio chi fomenta utilitaristicamente la
divisione tra culture nella società e la caccia alle minoranze che
si dimostra più colpevole che difensore. Frasi come: “Oggi,
in Francia, ci sono almeno dieci, quindici luoghi dove con una certa
regolarità ci sono persone che si accaparrano del territorio. A
quelli che amano, soprattutto quando si tratta di criticare il Front
National, ricordare l'occupazione durante la seconda guerra mondiale,
dico che siamo qui per parlarne, di occupazione. Perché questo,
l'utilizzo della strada pubblica per riunirsi in preghiera, è
occupazione del territorio”(M.Le Pen riferendosi all’usanza
musulmana di pregare in pubblico), dimostrano la distruttività di
una retorica xenofoba che sembra convogliare sempre più consensi tra
i francesi. Anche il tempestivo tweet di
commento ai fatti di ieri del simpatizzante d’oltralpe della Le
Pen, il leader della Lega Nord Matteo Salvini è di nuovo
significativo per capire quanto stiamo dicendo (Se
MASSACRO di #Parigi sarà confermato di matrice ISLAMICA, è chiaro
che ormai abbiamo
il nemico IN CASA. #StopInvasione,
subito!).
Quello che si
rende drammaticamente necessario oggi, in Francia come in Italia è
un punto di comprensione reciproca, una possibilità reale di
incontro tra le varie culture che abitano le nostre società globali.
Solo con interventi di comunicazione ed interazione con le comunità
islamiche locali si potrà disinnescare la bomba del fondamentalismo.
E perché ciò avvenga il concetto deve passare da ogni parte. Non
solo la politica dovrebbe accorgersi della pericolosità di certe sue
istanze e metterle da parte, ma le autorità e le comunità musulmane
dovrebbero condannare in massa e definitivamente gesti reazionari
come quelli che qui abbiamo descritto, far capire che ad una satira
che si ritiene inaccettabile si può rispondere dialetticamente, ad
armi pari (carta, penna e libertà di espressione). L’Islam oggi ha
di fronte una grande sfida: quella di abbattere la visione di se
stesso come del nemico naturale dell’Occidente, unico attore in
grado di poterlo contrastare e di fornire una visione del mondo
inconciliabile con quella occidentale. L’isolamento di gruppi
terroristici che paventano cause religiose e che non si identificano
certo nei confini statali di Siria e Iraq, né in quelli più ampi di
una fede secolare è il primo passo da compiere verso un incontro e
una comunicazione pacifici tra i due mondi.
Come
si risponde dunque alla paura? La risposta è delle più semplici:
abbiamo maledettamente bisogno di coraggio. E’ fondamentale che si
mostri coraggio non solo nell’impugnare un fucile, ma nello
svolgere il proprio ruolo di politico o credente in modo consapevole
e rispettoso.
Matteo Mandelli
Resp. Europa e Affari Internazionali
Giovani Democratici Lecco
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