8 gennaio 2015

Scacciare le paure

“E’ terrorismo non c’è dubbio”. Queste le parole con cui il Presidente della Repubblica Francese Hollande ha commentato a caldo l’attentato terroristico avvenuto ieri mattina a Parigi, che ha avuto come bersaglio il giornale satirico Charlie Hebdo. 12 persone hanno perso la vita per mano dei tre uomini che hanno assaltato la sede; 12 giornalisti, vignettisti, poliziotti, uomini comuni la cui quotidianità è stata bruscamente interrotta per finire nel sangue. Accanto al sangue c’è qualcosa di più di cui è importante parlare, sebbene la ferita inferta alla capitale francese bruci ancora, fresca e cruda. Accanto al sangue aleggia la paura. Paura che nel caso del terrorismo si fa definizione, obiettivo primario da diffondere velocemente in modo virale come l’influenza, come una news scandalistica o un post su facebook. Alle 16.30, quando la notizia si era ormai propagata, il ministro degli interni italiano Angelino Alfano ha convocato il Comitato di analisi strategica antiterrorismo per esaminare i rischi concreti di minaccia terroristica per il nostro paese: la paura è servita. Ma di cosa dobbiamo avere paura?

Sono passate poche ore e ancora non si hanno certezze circa l’identikit degli attentatori, anche perché nessuna organizzazione terroristica ha rivendicato l’azione. Pare tuttavia che questa fosse premeditata e che sia stata condotta da mano esperta ed addestrata, riconducibile ad una qualche frangia jihadista. Non ci sarebbe da stupirsi, se venisse confermato, che gli omicidi del Charlie Hebdo siano affiliati ad Al-Quaida o allo Stato Islamico. Proprio quest ultimo aveva inserito il giornale satirico nella lista degli obbiettivi che i combattenti fondamentalisti presenti in Europa avrebbero dovuto prendere di mira, per punire i raid aerei francesi in Siria ed Iraq.

Come si affronta dunque la paura di una rinascita del terrorismo islamico di matrice fondamentalista all’orizzonte a poche ore dal primo attentato europeo nell’era dell’Isis? Il sentimento di autodifesa segue a quello del timore di un attacco. E’ già diffusa opinione che se ci sarà qualcuno pronto a cavalcare l’onda della tragedia, ad ergersi a difensore della patria contro i suoi nemici naturali, questa sarà Marine Le Pen. La leader del Front National, partito già in ascesa alle scorse elezioni europee e portatore di istanze nazionaliste e xenofobe, sembra la persona predestinata ad incanalare questi sentimenti, come lo fu Bush nell’America post 11 settembre. Potrebbe sembrare dunque che la reazione a catena sia quella che vede l’attentato come causa e l’ascesa di partiti nazionalisti, xenofobi e anti immigrazione come conseguenza degli eventi di ieri mattina. In realtà, sebbene la successione temporale dei fatti presentata sia corretta, stiamo dimenticando gli antefatti. Ieri il commento della Le Pen è stato il seguente: "Bisogna dire basta all'ipocrisia e chiamare le cose con il loro nome: è una strage perpetrata dall'integralismo islamico". Si deve prendere spunto da quanto ha detto la Le Pen: basta all’ipocrisia. La Francia per ragioni storiche e coloniali è il paese europeo che ospita il maggior numero di musulmani: quasi il 9% della popolazione. Dopo l’11 settembre l’immagine della cultura islamica sembra essere stata irrimediabilmente compromessa, sino ad arrivare ad una demonizzazione della categoria dei musulmani al completo, che forse persino loro stessi hanno oggi introiettato. Non c’è da tanto stupirsi forse allora se alcuni musulmani francesi, sempre più ghettizzati, malvisti e poco rispettati anche nell’esercizio del loro culto si siano rifugiati nelle frange estremiste e fondamentaliste della propria religione. Ed è proprio chi fomenta utilitaristicamente la divisione tra culture nella società e la caccia alle minoranze che si dimostra più colpevole che difensore. Frasi come: “Oggi, in Francia, ci sono almeno dieci, quindici luoghi dove con una certa regolarità ci sono persone che si accaparrano del territorio. A quelli che amano, soprattutto quando si tratta di criticare il Front National, ricordare l'occupazione durante la seconda guerra mondiale, dico che siamo qui per parlarne, di occupazione. Perché questo, l'utilizzo della strada pubblica per riunirsi in preghiera, è occupazione del territorio”(M.Le Pen riferendosi all’usanza musulmana di pregare in pubblico), dimostrano la distruttività di una retorica xenofoba che sembra convogliare sempre più consensi tra i francesi. Anche il tempestivo tweet di commento ai fatti di ieri del simpatizzante d’oltralpe della Le Pen, il leader della Lega Nord Matteo Salvini è di nuovo significativo per capire quanto stiamo dicendo (Se MASSACRO di #Parigi sarà confermato di matrice ISLAMICA, è chiaro che ormai abbiamo il nemico IN CASA. #StopInvasione, subito!).

Quello che si rende drammaticamente necessario oggi, in Francia come in Italia è un punto di comprensione reciproca, una possibilità reale di incontro tra le varie culture che abitano le nostre società globali. Solo con interventi di comunicazione ed interazione con le comunità islamiche locali si potrà disinnescare la bomba del fondamentalismo. E perché ciò avvenga il concetto deve passare da ogni parte. Non solo la politica dovrebbe accorgersi della pericolosità di certe sue istanze e metterle da parte, ma le autorità e le comunità musulmane dovrebbero condannare in massa e definitivamente gesti reazionari come quelli che qui abbiamo descritto, far capire che ad una satira che si ritiene inaccettabile si può rispondere dialetticamente, ad armi pari (carta, penna e libertà di espressione). L’Islam oggi ha di fronte una grande sfida: quella di abbattere la visione di se stesso come del nemico naturale dell’Occidente, unico attore in grado di poterlo contrastare e di fornire una visione del mondo inconciliabile con quella occidentale. L’isolamento di gruppi terroristici che paventano cause religiose e che non si identificano certo nei confini statali di Siria e Iraq, né in quelli più ampi di una fede secolare è il primo passo da compiere verso un incontro e una comunicazione pacifici tra i due mondi.


Come si risponde dunque alla paura? La risposta è delle più semplici: abbiamo maledettamente bisogno di coraggio. E’ fondamentale che si mostri coraggio non solo nell’impugnare un fucile, ma nello svolgere il proprio ruolo di politico o credente in modo consapevole e rispettoso.

Matteo Mandelli
Resp. Europa e Affari Internazionali
Giovani Democratici Lecco


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