Le giornate per l’elezione del Presidente
della Repubblica, solitamente uno dei momenti più alti e importanti della vita
democratica del nostro Paese, sono state segnate dalla rabbia e dalla delusione
provate da molti giovani italiani e soprattutto dai giovani di centrosinistra,
che hanno visto fallire e frantumarsi il loro principale partito di
riferimento, il Partito Democratico.
La delusione è iniziata mercoledì 17
quando il Segretario Pierluigi Bersani ha presentato all’assemblea dei “grandi
elettori” e a tutto il popolo di centrosinistra la candidatura di Franco
Marini, indicandolo come il nome condiviso con le forze parlamentari di centro
e di centrodestra. Peccato che quello di Marini fosse un nome tutt’altro che
condiviso all’interno del nostro schieramento.
Allo stupore è ben presto seguito un
forte dissenso manifestato dagli stessi “grandi elettori”, i quali in
un’assemblea molto tesa ed agitata hanno dichiarato apertamente di essere
contrari alla candidatura di Marini, non per le qualità e le capacità della
persona rispettabilissima (ex Presidente del Senato e tra i fondatori del PD), bensì
per il metodo perseguito dal gruppo dirigente e per la linea politica che il
nome implicava. Tre o quattro persone “davanti ad un caminetto” hanno deciso
alcuni nomi e li hanno poi presentati al centrodestra affinché scegliesse fra questi,
senza che su tale “rosa di nomi” vi fosse stata alcuna verifica di condivisione
e apprezzamento da parte del nostro schieramento. Non bastasse il dissenso e il
segnale degli stessi grandi elettori, di cui in quella assemblea una gran parte
è uscita, si è astenuta o ha votato contro la candidatura presentata, da quel
momento la base di iscritti, militanti ed elettori del PD ha iniziato a farsi sentire
nelle piazze e nelle sedi del PD, alcune delle quali sono state anche
simbolicamente occupate. In molte parti d’Italia i Giovani Democratici sono
stati protagonisti di queste azioni, per mandare il segnale che il Partito non
è fatto dai dirigenti, dai loro tatticismi o dai loro accordi sottobanco, ma da
tutto il suo popolo, dalla base, dai giovani militanti.
Alla prima votazione si è corso
paradossalmente il “rischio” che un Presidente della Repubblica, teoricamente
presentato da noi, venisse eletto invece da tutto il centrodestra compatto e da
solo una piccola parte del centrosinistra. Insomma, un Presidente condiviso da
tutti, fuorché fra di noi. Ciò fortunatamente non è avvenuto perché molti
parlamentari, coerentemente con quanto espresso durante l’assemblea del giorno
prima, hanno votato “scheda bianca” o Stefano Rodotà, personalità di altissimo
livello e certamente di area di centrosinistra (ex Presidente del PDS),
sostenuto apertamente da M5S e SeL.
Dal nostro punto di vista è importante
sottolineare come molti dei parlamentari che si sono opposti alla candidatura
di Marini (ribadiamo ancora una volta, per il metodo che l’ha prodotta) sono
giovani, eletti con le primarie, i quali hanno sentito e capito che quella non
poteva essere la soluzione, ma che bisognava trovare un nome condiviso in tutto
il centrosinistra e apprezzato dalla nostra base. A conferma della scelta
infelice della dirigenza del Partito è significativo che anche alcuni esponenti
di primo piano fra cui Moretti, Puppato, Civati, oltre agli alleati Vendola e
Tabacci, non hanno votato Marini, criticando apertamente sia la scelta che il
metodo. Anche i parlamentari lecchesi Gian Mario Fragomeli e Veronica Tentori
hanno subito dichiarato di aver votato rispettivamente “scheda bianca” e
Stefano Rodotà: scelte di cui siamo stati orgogliosi.
Subito sono apparsi evidenti i problemi
all’interno del partito: 1) la profonda spaccatura tra chi preferiva l’accordo
(anche di governo?) con il PdL e chi invece lo avrebbe preferito all’opposto
con il M5S, tutti consapevoli che questa elezione del Capo dello Stato fosse
strettamente legata al futuro governo da far nascere; 2) l’enorme distanza
della classe dirigente del partito dalle richieste e dai desideri del suo
popolo, che da mesi in ogni sede manifestava tutta la contrarietà ad un accordo
con il PdL, e l’incapacità della stessa di interpretare il volere dei
parlamentari, anch’essi in gran parte spiazzati e contrari come l’assemblea ha palesato.
Ma la vera spaccatura del Partito e la più
grande delusione è venuta poi, secondo noi. Dopo questo mezzo disastro, infatti,
l’assemblea degli elettori si era ricompattata e aveva votato all’unanimità di
candidare Romano Prodi, forse l’unico nome che poteva davvero mettere d’accordo
tutti. Non passano neanche 12 ore che il Fondatore dell’Ulivo, ex Presidente
del Consiglio, ex Presidente dell’UE e Inviato dell’ONU in Africa viene
bruciato, impallinato nel peggiore dei modi dal suo stesso Partito. Qui lo
sdegno e la rabbia di tutto il popolo del centrosinistra sono stati unanimi:
più di 100 grandi elettori hanno tradito e per di più in modo vigliacco, perché
hanno votato contro dopo esser stati a favore in assemblea la stessa mattina!
Tutto questo si è verificato per uno
sporco gioco di correnti, di rivincite personali e di diatribe interne fra una
classe dirigente, squallidamente apparsa attaccata a giochi di potere e
personalismi, che ha lasciato in secondo piano l’elezione del Presidente della
Repubblica e l’unità e la stabilità del Partito. Ancora una volta siamo invece orgogliosi
degli Onorevoli Fragomeli e Tentori che hanno convintamente votato per Prodi.
Convergere alla fine sulla rielezione di Giorgio
Napolitano era l’unica soluzione possibile dal momento che Stefano Rodotà,
candidatura anche da noi apprezzata, non avrebbe mai avuto i voti necessari per
essere eletto e perché dopo ciò che era successo nessun altro nome avrebbe
riunito il PD ed era impossibile tergiversare ritardando l’elezione del Capo
dello Stato. Riteniamo profondamente deludente quanto avvenuto, perché non è
accettabile che la politica e l’istituzione parlamentare in cui crediamo non
siano stati in grado di indicare una nuova figura con l’autorevolezza del
Presidente Napolitano e che al tempo stesso interpretasse e sapesse rappresentare
i segnali di necessario cambiamento, inviati dal Paese in ogni occasione
possibile.
La frattura nel Partito è emersa con
chiarezza così come le enormi responsabilità del suo gruppo dirigente, che
prima non ha saputo intercettare le istanze della nostra base e dello stesso
Partito, proponendo un metodo ed una candidatura per nulla condivisi,
dimostrando di non avere il polso della situazione, e poi, ancora più
gravemente, facendo fare una indegna e immeritata figura ad una persona come
Romano Prodi, senza capire e controllare assolutamente tutte le logiche di
corrente, i tatticismi e i personalismi che si erano scatenati e che stavano
portando all’autolesionismo. Le dimissioni del Segretario Bersani, del
Presidente Bindi e degli altri membri della Segreteria sono l’ammissione di
questo fallimento.
Vorremmo immediatamente i nomi e le
dimissioni anche dei famosi “100 traditori” e di chi li ha manovrati per i
propri interessi, ma ancora una volta notiamo che purtroppo prevale la viltà.
Queste giornate hanno scritto la pagina
forse più brutta della vita del Partito Democratico, per la sua spaccatura, il
tradimento di alcuni parlamentari e il fallimento del suo gruppo dirigente. Noi
siamo i primi delusi, come giovani amanti della politica e come organizzazione
giovanile del PD, e immaginiamo quanti nostri elettori in questo momento possano
aver perso fiducia ed essere tentati di guardare verso altri partiti o
movimenti.
Come Giovani Democratici ci sentiamo però
di ribadire con forza che il PD non è fatto (o quantomeno non solo) dai suoi
dirigenti, bensì dai suoi iscritti, dai suoi amministratori locali, dai suoi
elettori e dai suoi militanti: da tutti coloro che si riconoscono nei valori e
negli ideali fondanti del PD. Questo è stato il senso dell’iniziativa
“occupyPD”, portata avanti da tanti GD e non solo, in molte parti d’Italia. Non
sono i giovani, con la speranza, la responsabilità e la possibilità concreta di
cambiare il Partito a dover abbandonare la nave, ma è invece chi ci ha portato
a questo punto a doversi fare da parte. Questo è il momento in cui ripartire
con un cambio di rotta netto. Tutta l’attuale classe dirigente deve lasciare
spazio alla nuova generazione che ha già dimostrato di essere più compatta e
probabilmente molto più vicina alle istanze dei territori, delle federazioni e dell’elettorato.
A coloro i quali hanno fondato il Partito
Democratico siamo grati, ma non permetteremo loro di distruggerlo. A tutti i
Giovani Democratici e ai giovani tesserati o elettori del PD diciamo che la loro
rabbia e la loro delusione sono anche le nostre, ma che questo non è il momento
di bruciare le tessere o perdere la speranza, bensì di organizzare le tante
forze ed idee positive che abbiamo e dando il nostro fattivo contributo sin dal
prossimo congresso.
Giovedì è il 25 Aprile: una Festa che
unisce tutto il centrosinistra. Ripartiamo simbolicamente da questa data, dai
valori della resistenza e della ricostruzione. Perché lo stesso dobbiamo fare
all’interno del nostro Partito, ancora più uniti e determinati, per rinnovare profondamente
classe dirigente, metodi e comportamenti: resistere e ricostruire.
Vittorio
Gattari – Segretario Circolo GD Lecco
Giacomo Gilardi – Segretario Provinciale
GD Lecco
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