28 giugno 2008

ANTIFASCISMO


Nello scrivere questo post mi sono chiesto se abbia ancora senso, oggi, parlare di antifascismo. Non tanto perché sono passati 60 anni dal ventennio, quanto perché è tutto così cambiato in questi 60 anni che non sembrano riproporsi le condizioni che hanno portato all’ascesa dei regimi del novecento. E’ la tesi di alcuni storici americani che ritengono improbabile la riproposizione di fascismi perché questi non sono che vecchie ideologie chiuse in se stesse e nel proprio passato, travolte dalla ventata di novità portata dall’internazionalizzazione dei commerci, dalla circolazione di persone e idee, insomma dalla globalizzazione. Di contro, qualche giorno fa su “Liberal” è comparso un articolo che evidenzia l’altra faccia della medaglia, cioè come la globalizzazione abbia sì cambiato profondamente il contesto socioeconomico ma creando comunque situazioni e problemi pericolosamente analoghi a quelli d’inizio novecento, analoghi soprattutto nei loro risvolti sociali; l’inflazione, la perdita di potere d’acquisto etcetera hanno cause diverse ma effetti identici: malcontento, tensioni sociali, intolleranza. Si può spiegare quanto a lungo si vuole che attualmente l’economia è regolata da flussi di capitali internazionali e da operazioni commerciali globali: quello che viene avvertito dalla popolazione è che fatica a tenere il passo e quindi, lungi dal lasciarsi coinvolgere nell’emozionante competizione globale, si richiude nei nazionalismi e nei localismi. Mi sento più vicino a questa analisi, ma credo che entrambe partano da un presupposto sbagliato, cioè che i fascismi siano restati uguali a sé stessi e quindi per risorgere abbiano bisogno delle stesse condizioni presenti all’inizio del ventennio. I fascismi si sanno adattare, i fascismi si sono evoluti (secondo Curzio Maltese la Lega è la migliore prosecuzione del fascismo pedemontano). Esistono perfino gruppi fascisti che, superando le vecchie idee di nazionalismo e imperialismo, puntano a un’unificazione fascista europea in funzione antiamericana. Esistono fascismi di straordinaria modernità, eccezionalmente consapevoli della realtà dell’oggi, pur restandone fuori. Ma allora l’antifascismo di oggi non può più essere quello del ventennio. L’antifascismo di oggi deve essere costante affermazione di libertà. Di fronte alle sfide inedite che si presentano ai nostri occhi, di fronte ai problemi cui non sappiamo dare risposte, di fronte alle tentazioni semplicistiche e violente della modernità, di fronte a tutto questo non possiamo che reagire ricordando quei principi e quei valori sanciti dalla nostra carta costituzionale, principi e valori che hanno quelle caratteristiche di eternità di cui i fascismi sono privi. Se infatti essi hanno bisogno di un costante adattamento ai cambiamenti della storia, i diritti inalienabili che troviamo nella costituzione sono gli stessi da sempre e tali rimangono perché profondamente connaturati alla razionalità umana. E quindi l’antifascismo moderno sarà applicazione tenace e forte, in ogni occasione, di quelle libertà e quelle limitazioni di cui l’uomo ha da sempre bisogno per poter vivere in pace.

Lorenzo

3 commenti:

  1. Dai oggi il corteo non è andato male no? Anche se purtroppo quei furbetti della Questura ci han fatto passare per Corso Martiri dove non c'è un anima viva, e non sul lungo lago dove c'era metà Lecco... e quindi è stato un corteo un pò autoreferenziale, parlavamo solo tra noi, ed è ovvio che si era tutti d'accordo.
    Non prendetemi per pazzo ma io quasi quasi avrei fatto parlare quel ubriacone vestito da Vasco Rossi che farfugliava cose tipo "allora teneteveli a casa vostra". Oppure avrei chiamato lì a discutere i 2 fascistelli che ci han ascoltato per tutto il tempo in piazza Manzoni nascosti da parte ai poliziotti. Almeno potevamo provare a ribattere demolendo le loro motivazioni. Perché se ci si abitua a parlare solo davanti a un uditorio amico, poi quando si ricevono le prime obiezioni si va in tilt e si fa una figuraccia!

    Prendetela come una provocazione la mia, però è vero, eh...

    Stefano (il tipo di Galbiate, ho scritto anche sotto il post su Silvio)

    RispondiElimina
  2. Concordo con Stefano nel dire che la manifestazione è andata bene in termini di partecipazione dal momento che non è poco avere circa 60 ragazzi e qualche adulto ad una manifestazione alle 3 di un pomeriggio di fine giugno con un caldo soffocante.
    Anche io però la definirei autoreferenziale. Non tanto perchè non c’è stato contraddittorio ma perché dobbiamo chiederci se riteniamo che i valori antifascista siano solo di una parte politica (la sinistra) allora in quel caso va bene rivolgerci solo a quella con simboli, canzoni e parole in cui solo questa parte si riconosce (ma allora non dobbiamo essere ipocriti e dire che la rete è apartitica) o riteniamo che tutti i cittadini italiani dovrebbero riconoscersi in quei valori e riflettere sul fatto che essi sono ancora attuali e devono essere difesi con un movimento antifascista moderno che sappia contrastare un fascismo che si è evoluto come descriveva bene Lorenzo nell’ultima parte del suo post.
    Ma se è così, e per me dovrebbe essere così, allora dobbiamo porci in maniera diversa altrimenti come diceva Stefano siamo parliamo tra di noi ma non facciamo niente di nuovo, e soprattutto non cambiamo nulla.

    RispondiElimina
  3. Concordo pienamente con Chiara. Il corteo è stato bello, più che altro perchè a Lecco ogni tanto è anche bello vedere che qualcuno si muove, la gente ci guardava dalle finestre...però secondo me dobbiamo fare un ragionamento sul cosa vogliamo trasmettere a queste persone, intendo proprio queste...cioè chi ci guarda dalla finestra, chi magari potrebbe pensarla come noi se non che un pregiudizio verso un "certo modo di porsi" gli impedisce anche solo di ascoltare quello che abbiamo da dire. Quindi secondo me dobbiamo cercare un modo diverso di porci:non dobbiamo certo dimostrare a noi stessi quanto siamo bravi ad essere antifascisti, ossia diventare autoreferenziali senza concludere nulla. Dobbiamo liberarci dai pregiudizi anche noi e pensare che in primo luogo vogliamo spiegare cosa ne pensiamo a chi magari non fa parte della nostra esperienza politica. E di certo non possiamo parlare una lingua che queste persone non vogliono ascoltare. Credo che il passo in più da fare sia proprio cercare di coinvolgere anche chi non vuole ad esempio cantare "contessa" sventolando la bandiera di Che Guevara e questo non significa che io voglio rinnegare la mia storia: quella può certo essere la mia storia ma magari non lo è per qualcun altro. Se si dice che la rete è apartitica allora significa che non vi sono identificazioni politiche e che tutti ci si possono riconoscere: ovviamente nel diritto di difendere i valori della costituzione italiana e tutto ciò che essi comportano.

    RispondiElimina